STEFANO GALLO 

EPIFANIE CONTROVERSE

 

Il quartiere EUR fu progettato nel 1938 come sede della Esposizione universale che si sarebbe dovuta tenere a Roma nel 1942 – E42 – per celebrare il ventennio dalla marcia sulla capitale di Mussolini e delle sue milizie fasciste; ma l’esposizione non venne realizzata perché si era ormai nel mezzo della guerra incominciata nel settembre del 1939 con l’invasione della Polonia da parte della Germania di Hitler e con l’inizio dell’annessione delle repubbliche baltiche da parte dell’Unione Sovietica di Stalin, secondo il patto Molotov-Ribbentrop. Pur essendone stati eretti già all’esordio degli anni quaranta alcuni edifici di spicco, come il Palazzo della Civiltà Italiana, l’EUR venne costruito dopo la guerra, negli anni cinquanta, con ulteriori e continui sviluppi a partire dagli anni sessanta fino a oggi, che lo hanno reso non soltanto una realtà urbana simbolica ma anche residenziale e commerciale, nei cui vasti spazi verdi, lungo i cui assi ortogonali e le ampie arterie stradali si relazionano a distanza le architetture principali: quelle neoclassiche originarie, con rivestimenti lapidei, degli esponenti del razionalismo italiano chiamati dal regime fascista, e quelle del razionalismo tecnologico attuale in acciaio e vetro. Per fare un esempio: il Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera della fine degli anni trenta con il Centro Congressi di Massimiliano Fuksas, detto La Nuvola, inaugurato nel 2016.

Tuttavia, pur non mancando nulla ormai per la comune vita pratica quotidiana, l’EUR si differenzia da ogni altro quartiere di Roma per una certa aria di monumentalità di facciata, per emergenze architettoniche accentuatamente estetiche che sembrano non lasciarsi contaminare dal tempo, dalla storia, dalla vita, da quelle concretezze umane che fanno attrito sulle superfici. E questa sensazione vale sia per l’edilizia di matrice fascista sia per i grandi palazzi del modernismo tecnico. L’EUR in fondo lo si può ancora in parte guardare, oggi nel 2024, come una esposizione di edifici nella prospettiva della piana alberata al modo in cui era stato immaginato per E42.

Carla Cacianti si confronta con questo panorama architettonico, continuando un lavoro di ricerca che ha preso le mosse dalla mostra Ferite nel 2015, proseguendo nel 2018 con Mutazioni e con Identità Mutevoli nel 2019.

Il linguaggio visivo delle opere di questa mostra, così come quello di Mutazioni e Identità Mutevoli, si basa sulla riproduzione fotografica di ciascun soggetto e un successivo intervento di modellato plastico attraverso la piegatura della carta stampata. La superficie della fotografia assume in tal modo l’articolazione in piani di una scultura a rilievo. Il dato visivo della fotografia e il modellato plastico vengono integrati dall’artista in una rappresentazione in cui l’indagine sullo spazio e la creazione di spazialità appaiono essere le chiavi principali per interrogare il soggetto.

Dallo sguardo sui volti, in Ferite e Identità Mutevoli, a quello sulle architetture in Mutazioni e in EUR 42 | 24, pur variando gli interlocutori scelti da Cacianti, permane il tema di un’analisi insistita sull’identità dei soggetti. Lo scavo e l’aggetto plastico che dominano le opere appaiono quasi come la registrazione dei movimenti non solo dello sguardo ma anche della mano e del corpo dell’artista in rapporto alla realtà che ha rappresentato. 

Il dare rilievo all’immagine fotografica non ha la sua ragion d’essere in una volontà in primo luogo estetica, ma nel bisogno di avvicinare a sé l’impalpabile distanza che è propria dell’immagine fotografica stampata sulla carta o prodotta sullo schermo di un apparecchio digitale. La ricerca di Cacianti si può leggere come un tentativo di riguadagnare all’esperienza fisica, dunque alla percezione tattile, l’immagine astratta e incorporea secondo cui il mondo tende oggi a presentarsi. Le architetture dell’EUR da questo punto di vista risultano essere soggetti che sollecitano con forza la volontà di dialogo e di interrogazione dell’artista per aprire nuovi spazi di relazione. 

Che cosa sono le forme di queste architetture? E questi spazi per me, ora, mentre li osservo, li avvicino, li fotografo e mentre li piego e ripiego cercando di rimediare alla piattezza delle loro immagini col tocco delle mani, con la mia memoria delle forme, col mio desiderio di esserci? Sospinta da questo spirito di indagine, da queste domande, bisogna immaginare Carla Cacianti nello svolgersi dell’esperienza di sguardo e di modellato da cui nascono le sue opere in mostra: un’esperienza di riappropriazione nel proprio sé umano e creativo di realtà che tendono a confinarsi in rigide e convenzionali estraneità mentre si impongono con la loro singolare e forte presenza.

Epifanie Controverse è un’espressione con cui si intende anzitutto alludere al nuovo mostrarsi delle architetture dell’EUR negli spazi costruiti dal “controverso” delle piegature di Cacianti. Questo modo, quasi da gioco infantile, di recuperare il panneggio della tradizione scultorea rende visibile un inedito essere degli edifici, nello squadernarsi dei loro corpi in piani e volumi, nel loro proiettarsi tra cielo e terra, secondo quell’esistere sperimentale e spirituale proprio dell’attività degli artisti che qui assale al cuore l’immobilità estatica del monumentalismo dell’EUR. Ma nell’espressione epifanie controverse risuona secondariamente anche la ricezione appunto controversa, dubbiosa ma anche curiosa, che il visitatore fa del quartiere e della sua storia dinnanzi alla eterogenea epifania monumentale che lo contraddistingue.

Se rivolgiamo ora l’attenzione a una di queste foto-sculture, alla veduta di uno dei prospetti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che nella realtà consiste in un chiaro piano marmoreo continuo, la cui essenzialità è ancor più evidenziata dal contrasto con il riquadro a rilievo che vi è montato su, dove sono rappresentate le antiche repubbliche marinare, cogliamo immediatamente l’entità e il valore dell’intervento plastico realizzato dall’artista sull’immagine fotografica da lei stessa presa. 

Perché in primo luogo la piegatura della carta fotografica rompe la regolarità della “finestra” che è la fotografia. Chi guarda l’opera vede un’immagine il cui perimetro irregolare è tutt’uno con il soggetto rappresentato. Diversamente da quanto ci trasmette una foto, che apre una prospettiva dentro la sua forma geometrica e dunque richiama lo sguardo dentro il suo perimetro, in queste opere di Cacianti l’immagine fotografica diviene corpo, si presenta secondo un’identità formale complessiva e appare muoversi libera nello spazio circostante. Ogni sua opera, indipendentemente dal soggetto che riproduce, possiamo immaginarla come una sorta di vascello in navigazione nello spazio cosmico, perché tutto ciò che compare a contorno del motivo centrale della fotografia risulta avere non meno rilievo, consistenza e realtà di quello. 

Ecco dunque che il semplice ma monumentale piano continuo secondo cui ci si presenta l’architettura neoantica del palazzo della Previdenza viene ricondotto a una inedita complessità plastica che coinvolge anche le porzioni di edifici circostanti incluse nella fotografia e così anche il cielo e le parti in basso di vegetazione. L’immagine ferma e stentorea nella sua monumentalità unitaria, bloccata, del tutto separata da noi, è tradotta non in una arbitrarietà fantastica, bensì in una diversa realtà, dotata di fisicità concreta, fatta di rilievi tangibili, di aggetti e di cavità che ci mostrano una nuova possibile esperienza dell’edificio.

Se passiamo a osservare le architetture contemporanee su cui Cacianti è intervenuta, sia su quelle nelle quali la struttura metallica è più in evidenza sia su quelle in cui si fa valere di più il gioco dei riflessi, dei rispecchiamenti del paesaggio sulle pareti di vetro, si noterà che l’indagine sulla immagine fotografica tende a ricavare sempre la concretezza dei rilievi, una trasformazione visiva che poggia sulla riattribuzione alla realtà della sua tangibilità. 

Ridare presenza di cosa all’immagine, reinventare una spazialità avvertibile, esperibile, che abbracci tutta la scena dell’opera rimettendoci in fondo a contatto con il nostro essere nell’universo, sembra essere questo uno degli aspetti più interessanti della ricerca di Carla Cacianti. 

E le due redazioni del Palazzo della Civiltà Italiana, l’architettura di maggior richiamo del progetto della E42, rivelano in modo particolarmente suggestivo le due opposte ma integrate forze che l’artista introduce nell’elaborazione delle sue immagini. Da un lato infatti l’immagine di questo palazzo di archi, di questa iterazione senza tregua di arcate viene conservata e anche esaltata nelle due opere; ma smontando l’unità della sua forma per scavarla e sezionarla piega dopo piega, rilievo dopo rilievo, come per toccarla e slabbrarla in ogni sua parte secondo un movimento centripeto. Dall’altro in entrambe le redazioni, ma in modi clamorosamente diversi, l’immagine del palazzo è sottratta alla sua simbolica autonomia, che avrebbe dovuto imporsi come esemplare, per venire coinvolta in una spazialità più complessa e generale entro cui secondo un movimento centrifugo si perde e si trasforma.