ARTE OLTRE LO SGUARDO

(Catalogo Identità Mutevoli, Roma 2019)

 

“Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli,
e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.
(Josè Saramago)

La ricerca artistica di Carla Cacianti è un viaggio attraverso l’immagine. Nell’epica greca il νóστος rappresentava il lungo e avventuroso viaggio di ritorno in patria degli eroi greci dopo la guerra di Troia. Un viaggio, come quello di Ulisse narrato da Omero, che è significativamente un ritorno: dopo essersi dedicata per molti anni al visual design, nella ricerca artistica pura Carla Cacianti ha ri-trovato la sua Itaca, un luogo ideale nel quale rispecchiarsi e conoscere la propria identità.
Il termine νóστος – si sa – implica in quest’ottica anche la nostalgia, il desiderio sofferto di tornare a ‘casa’, per ritrovare le proprie radici. Con l’attività artistica Carla Cacianti si riappropria del suo spazio d’azione e di immaginazione, della propria dimensione creativa. In definitiva, della sua libertà espressiva.
Inizia giovanissima negli anni Settanta il suo percorso artistico collaborando, mentre ancora frequentava il liceo artistico di Via Ripetta, con il Teatro Immagine di Mario Ricci, espressione tra le più significative dell’avanguardia teatrale europea degli anni Settanta. Partecipa alla realizzazione degli “oggetti scenici” per gli spettacoli Re Lear e Moby Dick, rappresentati in Italia e nelle principali capitali europee. (1) In occasione delle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, nell’ambito della manifestazione artistico-culturale Spielestrasse, dipinge insieme agli altri artisti del gruppo grandi parallelepipedi mobili con uno stile che risente ancora dell’ondata Pop del decennio precedente e che proprio dal linguaggio della Pop Art prende in prestito l’immediatezza espressiva e la vis ironica e polemica. Un teatro di “visione” e di animazione, quello di Mario Ricci, capace di esprimersi attraverso un’arte oggettuale (come quella Pop, appunto), in una continua sperimentazione di diversi materiali. (2) Sono dunque gli oggetti i veri protagonisti nel teatro di Ricci, messo in scena, tra gli altri, dagli artisti Claudio Previtera e Carlo Montesi, con i quali Carla Cacianti lavora a stretto contatto in quegli anni, maturando un’attitudine verso una pratica artistica aperta a più linguaggi.
In questo clima di sperimentazione, tra le istanze più innovative dell’arte e del teatro che si affermano negli anni Settanta in ambito romano, l’artista sviluppa un interesse per l’immagine come oggetto, in quanto rappresentazione concreta di forme e volumi, come attesta la sua partecipazione, su invito di Renato Mambor, alla mostra Toys by Artist alla Galleria People di Torino nel 1973. L’incontro con Umberto Bignardi e Ferro Piludu - con i quali partecipa alla Triennale di Milano dello stesso anno con Implicor, uno dei primi grandi sistemi multimediali progettato per Olivetti - avvicina Carla Cacianti al mondo del graphic design, un mondo all’epoca di grande libertà espressiva dove il designer, come l’artista, ancora poteva proporsi come interprete della realtà.
Di lì a poco sarebbe iniziata la sua carriera di visual designer, con importanti soggiorni e incarichi all’estero, docenze e numerosi progetti di identità visiva per imprese e istituzioni fino ai primi anni duemila. Eppure in questo percorso Carla Cacianti non ha mai abbandonato il suo bagaglio artistico che anzi nel tempo è stata una fondamentale e continua fonte di ispirazione per il suo lavoro di designer.


Un viaggio per tornare a se stessa
Il progetto Life-like. Cinema e grafica, profezie e paradossi (2009), ideato con Gualtiero Tonna per la parte concettuale, rappresenta l’inizio di un nuovo percorso. Qui Carla Cacianti matura la consapevolezza di voler passare dal linguaggio della comunicazione a quello puramente artistico. Nei cinque grandi pannelli che accolgono frame di alcuni celebri film interviene rielaborando l’immagine, catturata fotografando lo schermo televisivo. Grazie all’uso del fotomontaggio, inserti prelevati dalla realtà - come foto di dettagli urbani che evocano con la loro texture un certo spessore materico - arricchiscono di nuovi significati l’opera, enfatizzando la sua carica comunicativa. Una costante di questi lavori è la sequenza, declinata ogni volta con finalità artistiche diverse: dalla reiterazione dei soggetti in movimento al focus sui primi piani, che si dissolvono o irrompono nello spazio visivo e su cui spesso l’autrice interviene con l’operazione di saturazione del colore.
In questo periodo Carla Cacianti vive intense esperienze di introspezione che la portano ad abbandonare il mondo della comunicazione, condizionato da logiche di marketing, per dedicarsi esclusivamente alla pura ricerca artistica.
Inizia così, da un disagio fortemente avvertito dentro di sé e nella società, un percorso di ricerca di senso “identitario”, come analizza puntualmente nel suo contributo in catalogo Gualtiero Tonna (3). Un percorso che da allora riflette sul tema dell’identità personale e collettiva nel “paesaggio” mutevole della nostra esistenza. (4)

Ferite
Nel 2010 Carla Cacianti inizia a pensare ad un progetto sull’immagine stereotipata della donna nella società contemporanea. L’artista comincia a ragionare sulla tecnica da impiegare per oggettivare questa sua ipotesi progettuale. Inizia con immagini di donne trovate sulle riviste, lavorando in un primo momento con il fotomontaggio, procedimento che conosce e indaga da sempre, e in seguito cominciando a manipolarle. Sente che deve approfondire questa tecnica ma il mezzo sembra non essere convincente. Lo sguardo dell’artista non si avvicina abbastanza al soggetto che vuole trattare, non empatizza: in fondo si tratta di intervenire su immagini già stereotipate dalle riviste patinate. Da qui l’incontro risolutivo con la fotografia come base di partenza per i suoi lavori e medium espressivo per registrare una condizione. Del resto le immagini fotografiche sono un’emanazione di chi le fotografa, un prolungamento della sua sensibilità artistica. Ma soprattutto permettono all’artista di controllare il processo di realizzazione delle opere fin dall’inizio.
A partire dal 2013 Carla Cacianti chiede allora ad alcune donne di prestare il proprio volto per raccontare storie di violenza ma anche di riscatto, che molto spesso restano segni sotto traccia, sotto le pieghe e le ombre del nostro essere e del nostro vissuto. (5) Inizia a lavorare su ritratti fotografici di donne in interno, nelle loro case, nella loro dimensione intima e quotidiana, scegliendo inizialmente di operare su formati di grandi dimensioni (fig. VII). Successivamente si registra uno sviluppo stilistico nato da una precisa esigenza espressiva: restringere il campo visivo e le dimensioni del ritratto per focalizzare l’attenzione sul volto delle donne, a volte ripetuto in sequenza come un’opera unica (figg. VIII, IX). Per questo Carla Cacianti chiede alle donne di sostenere lo sguardo dell’obiettivo, di “guardare in camera”, ricevendo da subito il loro sostegno e una partecipazione attiva, perché comune e sentita era la problematica sollevata dal suo lavoro. Ma l’artista non si accontenta di fissare con la luce un volto, vuole indagarlo a fondo e lo fa scegliendo di intervenire sulle immagini fotografiche, stampate a colori, piegandole e ri-fotografandole.
Si attua così una forzatura, si stravolge l’equilibrio formale del ritratto, con il gesto delle pieghe che diventano metafora della violenza subita. Le pieghe potenziano infatti l’espressività delle immagini, le drammatizzano, rendono “materico” un dolore; sono segni da rintracciare, segni che interrogano chi li guarda, segni che parlano di ferite. Non a caso sarà Ferite il titolo di questo progetto presentato in occasione di una personale al Centro Luigi Di Sarro a Roma nel 2015. (6)

Volti, le prime foto-sculture
Il lavoro di Ferite segna una prima importante tappa nel linguaggio artistico di Carla Cacianti. La fotografia come medium espressivo e l’intervento di manipolazione sulle immagini si affermano come chiave di volta di uno stile in divenire. In Ferite i ritratti a colori venivano trattati come ‘oggetti’ bidimensionali, secondo una modalità operativa che privilegiava un aspetto più immateriale dell’opera. Dopo qualche tempo l’artista ritorna sul problema della resa dei volumi, maturando un interesse maggiore verso lo studio delle forme e sperimentando nuove soluzioni stilistiche. L’attenzione si sposta allora dall’immagine bidimensionale allo sviluppo in senso plastico della superficie dell’opera.
I quattro Volti, esposti in mostra e riprodotti qui in catalogo per la prima volta (fig. 1), sono le prime realizzazioni di quelle che possono definirsi vere e proprie foto-sculture. Se in Ferite le pieghe erano un modo per rintracciare i segni della violenza subita dalle donne, accentuando la drammaticità delle figure, qui l’attenzione si concentra piuttosto sulla problematicità della psiche umana.
Lo studio analitico dei volti si risolve in una scomposizione geometrica di piani e di linee spezzate che segue un certo dinamismo con improvvise accelerazioni ritmiche. I volti emergono nella loro potenza plastica ed espressiva, enfatizzata dalla scelta di abbandonare il colore in favore del bianco e nero, e si stagliano dai supporti, tavole di legno dipinte dall’artista che sono da considerarsi parte integrante dell’opera. Per alcuni di questi, Carla Cacianti è intervenuta aggiungendo della sabbia in fase di stesura del colore per conferire alle opere un aspetto più materico, negato in Ferite e ora affermato con grande efficacia. I Volti segnano l’inizio della ricerca di un nuovo linguaggio espressivo concepito dall’artista a partire dal 2016, e per questo si è deciso di presentarli in mostra come ideale introduzione a Identità mutevoli.

Mutazioni
Il linguaggio innovativo adottato in Volti si definisce con Mutazioni, una riflessione dell’artista sull’identità collettiva a partire da un lavoro sui grandi monumenti della storia di Roma, architetture simbolo di epoche e di ideali celebrati, rinnegati, perduti, evocati e riscoperti (figg. X, XI, XII, XIII). Le foto scattate da Carla Cacianti e manipolate attraverso l’affastellarsi di piani, linee spezzate, pieghe, vibrazioni chiaroscurali suggeriscono nuovi percorsi dello sguardo; mettono in crisi ed alterano canoni estetici fissati nelle pietre da secoli; disorientano, di nuovo sollecitano una riflessione nello spettatore. Presentato nel 2018 in occasione del Festival Fotografia Europea a Reggio Emilia, il progetto Mutazioni porta all’attenzione del pubblico il dualismo congenito dell’utopia/distopia, attraverso le alterazioni provocate dal gesto artistico che suggerisce i limiti e le contraddizioni della nostra storia e la precarietà del tempo e della società in cui viviamo. (7) La scelta dei monumenti potenzia il lavoro di scomposizione e destrutturazione studiato con estrema attenzione dall’artista, che tratta gli edifici storici come solidi geometrici (fig. XI) che emergono con la loro maiestas e auctoritas nel “paesaggio” identitario collettivo. (8) Come in Volti, le foto-sculture di Mutazioni si servono ancora di un supporto tradizionale - tavole di legno dipinte dall’artista - da cui si stagliano in tutta la loro tensione espressiva e con una tridimensionalità chiaramente definita.

Identità mutevoli
Carla Cacianti amplia la sua riflessione sul tema dell’identità personale in Identità mutevoli, continuando a lavorare sulle foto-sculture con una tecnica analoga ai precedenti lavori.
Per realizzare le sue opere, si serve di una carta fine art in puro cotone su cui vengono stampati i ritratti fotografici. La scelta risponde al suo desiderio di utilizzare una carta che sia opaca ed estremamente duttile e flessibile, che le consenta di piegare, trattare e modellare la superficie in senso plastico. Il risultato è un attento e sapiente gioco di pieghe, luci ed ombre ed una compenetrazione dinamica di piani che nasce proprio dal gesto di piegare.
Con Identità mutevoli l’artista intende portare all’attenzione del pubblico l’impossibilità dell’Io di riconoscersi in una identità aristotelicamente intesa come stabile, determinata, invariabile e ininterrotta.
Come scrive il filosofo David Hume, l’Io è soltanto “un fascio di percezioni”, che si susseguono con estrema variabilità e rapidità, nel flusso della nostra esperienza, delle nostre emozioni, passioni, sensazioni, in definitiva della nostra esistenza che si rivela nella sua mutevolezza imprevedibile. (9) Eppure, nel continuo sforzo di osservarci ed osservare il mondo, siamo portati a rintracciare delle forme, dei tratti primigeni, comuni, sempre uguali a se stessi.
Le diciotto foto-sculture selezionate per la mostra ritraggono persone comuni, di età anagrafiche e vissuti diversi. I ritratti sono stati eseguiti in esterna: la maggior parte nel cortile del Macro, gli altri in strada, privilegiando per lo più il fondo neutro per concentrarsi maggiormente sullo studio delle forme e dei volti e per liberare la loro espressività, in un processo di sottrazione che esclude, come in Volti, l’uso del colore.
Carla Cacianti opera sempre per sollecitazione: sceglie i soggetti da ritrarre, li studia, stabilisce con loro un contatto, un dialogo attraverso lo sguardo; poi si concentra sui volti, li fotografa, cogliendone con raro acume l’intensità espressiva; sfrutta la forza delle immagini che prendono forma nella sua mente e le rielabora non come ritratti tout court ma come immagini significanti, presentate al pubblico attraverso la scelta fortemente espressiva del bianco e nero. L’uso della fotografia permette così di stabilire un’interessante connessione tra lo sguardo dell’artista, quello delle persone che hanno posato per lei e quello del pubblico, che inevitabilmente si specchia nei volti scomposti e destrutturati (cfr. Opere in mostra, p. 37).
In Identità mutevoli si assiste inoltre ad un’ulteriore evoluzione stilistica: qui le foto-sculture si distinguono dai precedenti lavori per essere totalmente autonome ed autoportanti. L’estroflessione delle superfici e l’uscita definitiva delle opere dal supporto suggeriscono un superamento dei linguaggi tradizionali, indice di una sperimentazione artistica continua, che non vuole essere una ricerca estetica fine a se stessa ma si rivela invece un processo di conoscenza che porta l’artista ad ascoltarsi nel profondo e ad esperire, attraverso le sue opere, il confronto continuo tra visibile e invisibile, tra l’io e il mondo, tra l’essere e la sua mutevolezza.
Come accade nel teatro, la ricerca artistica diventa per Carla Cacianti un momento di autoanalisi, di continua introspezione: un viaggio per tornare a se stessa.
Chi sono dunque i soggetti delle sue opere? Quali identità ci mostrano? Personaggi in cerca d’autore, si direbbe, attori che davanti l’obiettivo recitano “il giuoco delle parti” sempre sotto l’attenta regia dell’artista che prima con la macchina fotografica e poi con l’operazione artistica di scomposizione e manipolazione cattura “un fascio di percezioni” di ciascuno di loro: un gesto, un’espressione, uno sguardo, una smorfia, una risata, talvolta inaspettati e imprevedibili, proprio perché mutevoli.
Ed ecco che noi possiamo essere uno, nessuno e centomila, non solo per gli altri che per conoscerci ci devono fissare in una forma, ma anche per noi stessi.
Qual è dunque la nostra identità? Cosa siamo noi nello specchio degli altri? L’esperienza di Identità mutevoli ci suggerisce che tutte le complesse questioni riguardanti l’identità personale non possono essere definitivamente risolte, ma possono essere esperite, vissute, indagate attraverso vari linguaggi. In quest’ottica Carla Cacianti ha voluto accogliere in mostra contributi di altre discipline: dalla poesia Specchi di Gualtiero Tonna, esposta nella sala insieme alle opere, alla performance Corpi di Caterina Di Rienzo e Ilaria Puccianti, in cui, in una felice comunione di intenti con l’artista, si vuole esprimere attraverso la poetica della danza la frammentarietà e la mutevolezza dell’essere.
La logica di dialogo e di scambio sul tema comune dell’identità sottesa al progetto di Identità mutevoli mostra un’attitudine multidisciplinare che è presente nel bagaglio culturale di Carla Cacianti sin dagli esordi e che continua a vivere nella sua esperienza artistica.

 

Giulia Cappelletti, 2019

 

Note

1) Sul Teatro Immagine di Mario Ricci si veda Idem, Il Teatro-Immagine. Spettacoli 1962-1973, scritto inedito, ora in < https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com/mario-ricci-biografia-opere/ > (01.09.2019); oppure il contributo di Daniela Visone, I materiali di scena in funzione di un nuovo tipo di teatro, in Idem, La nascita del nuovo teatro in Italia 1959-1967, Titivillus, Pisa 2010.
(2) Traggo la citazione di teatro di “visione” da uno scritto di Mario Ricci, Teatro-rito teatro-gioco, in Giuseppe Bartolucci, La scrittura scenica, Lerici, Roma 1968.
(3) Gualtiero Tonna, Paesaggi dell’identità, pp. 10-11.
(4) Ibidem.
(5) Carla Cacianti: Ferite, (catalogo della mostra: Roma, Centro Luigi Di Sarro, 25 novembre 2015 – 02 gennaio 2016), a cura di Carlotta Sylos Calò, s.e., Roma 2015.
(6) Patrizia Santangeli, Ferite, in Carla Cacianti: Ferite, cit., p. 7.
(7) Costantino D’Orazio, Architettura liquida, in Carla Cacianti: Mutazioni, (catalogo della mostra: Reggio Emilia, Galleria Spazio.aperto, 21 aprile – 17 giugno 2018), s.e., Roma 2018, p. 3.
(8) Su Mutazioni rimando ai testi di Gualtiero Tonna, Forme di una mutazione, in Carla
Cacianti: Mutazioni, cit., pp. 5-7;
Idem, Paesaggi dell’identità, cit., p.10-12.
(9) David Hume, Opere filosofiche, volume primo: Trattato sulla natura umana, Laterza, Bari 2008. Per un excursus filosofico sul tema dell’identità segnalo il contributo in catalogo di Carlo Montaleone, L’io, tra mito e favola, pp. 24-30.